Katia Catalano intervista Acreàstro Ennannellòro

La poetessa Katia Catalano, nata a Mirandola (MO) nel 1980, vive a Varese. Laureata in Giurisprudenza, ha frequentato la scuola di Notariato di Milano. Ha conseguito, inoltre, la laurea in Lettere e Filosofia ad indirizzo storico-critico dell’arte, presso l’università di Milano. Dopo l’ultima laurea ha approfondito la conoscenza sulla crescita personale, neuroscienze e neuromarketing e ha conseguito un Master in Storytelling e marketing dell’arte e della cultura. Nel  2011 ha pubblicato «Sensibilità ambivalen-te», intensa raccolta di poesie, e nel 2013 ha presentato «3R, racconti & provocazioni», un libro di trentatré storie anagrammate corredate da novantanove quesiti funzionali alla riflessione. Nel 2014 è riapparsa con «Vedo (?!) altre righe tra  le rime», raccolta particolare di liriche, rese maggiormente fruibili da linee guida, con le quali propone ai suoi lettori un quid per cogliere l’essenza della sua anima poetica.  Il 3 maggio 2016 l’Università degli Studi di Milano le ha conferito – quale poetessa – la borsa di studio «Exploit your talent 2016» ed il 29 gennaio 2018 le è stato conferito il premio «Stella nascosta» a Varese.  Da gennaio 2021 conduce, su Radio Morgan, un programma radiofonico da lei ideato, «Katia poesia», culturale ed innovativo. Il 29 ottobre del 2022 ha presentato il suo quarto libro «La linfa del pericolo», il primo suo libro di aforismi con la prestigiosa copertina disegnata da Alberto Casiraghy. Da aprile 2023 lavora presso Nova produzioni, casa di produzione televisiva, dove conduce un talk culturale che prende il nome del suo brand «Katia poesia».

K.: Ciao, Acreàstro, e benvenuto!

A.: Ciao, Katia, e grazie dell’ospitalità!

K.: Mi sarebbe piaciuto intervistarti a voce… I tuoi nomi e cognome anagrafici sono Salvatore Corrado e scrivi dal 1967. Sei siciliano, di Mineo (CT), ma vivi in Svizzera dal 1960. Per te, l’anno 2008 è importante. Perché?
A.: È l’anno in cui le Edizioni Svizzere per la Gioventù (ESG) hanno pubblicato un mio racconto per bambini dal titolo «Il sogno di Napoleone», ritenuto dalle stesse «una bella storia». I diritti d’autore vanno alle ESG; agli autori spetta un compenso unico corrispondente a 100 esemplari venduti: è la politica delle ESG. Ma se un autore riesce a far pubblicare altrove il suo lavoro o a farne trarre un film, riceverà il 60 % dei diritti d’autore. Ora il mio desiderio è che «Il sogno di Napoleone» diventi un cortometraggio… Dall’uscita al 2022 sono state vendute 1868 copie nelle scuole elementari pubbliche della Svizzera, forse pure fuori dalle scuole (e dalla Svizzera?), poiché il Catalogo ESG è anche in rete. De «Il sogno di Napoleone» esiste la versione in braille.

K.: Ho premesso che mi sarebbe piaciuto intervistarti a voce. Ma non potrei, perché sei handicappato. Dico subito che ti sono indigesti gli eufemismi e il politicamente corretto…
A.: Basta aggiungere un epiteto offensivo all’eufemismo (per esempio a «diversamente abile»), o pronunciarlo con un tono sprezzante, ed eccolo diventare un’offesa.

K.: Hai riportato lesioni cerebrali in seguito a un parto difficile. Le tue difficoltà motorie si estendono anche al parlare, per cui un’intervista verbale sarebbe risultata stressante e non soltanto per te.
A.: Già!…

K.: Dunque, scrivi dal 1967. Non hai letto alcun libro che avrebbe potuto iniziarti alla scrittura?
A.: No. In Sicilia non sono andato a scuola, perché i miei genitori temevano che anche lì venissi preso in giro, se non peggio. È stata mia madre a iniziarmi a leggere e a scrivere, con l’aiuto di un sillabario, quando avevo circa sei anni. Ne avevo più o meno nove e mia sorellina ne aveva uno, quando con la famiglia sono emigrato in Svizzera, nel 1960.

K.: Qui, quando è iniziata la tua scolarizzazione?
A.: Nel 1965, è iniziata dalla terza elementare. Il primo anno, ho frequentato una scuola pubblica per ragazzi con difficoltà di apprendimento; io, perché straniero. Ma giocando con i compagni di quartiere, avevo imparato presto a… parlare, leggere e scrivere il francese, a Friburgo, città bilingue (francese e tedesco). In Svizzera, gli handicappati sono trattati bene. Ciò fino a quando Eros non li doti di ali… Poi inizia per loro il calvario della solitudine. Almeno questa è stata la mia esperienza.

K.: Quindi la tua scolarizzazione è iniziata a 14 anni.
A.: Il primo trimestre l’ho trascorso in terza elementare, i due seguenti in quinta, chiudendo l’anno con la media del 5,1: in Svizzera, il massimo dei voti è 6.

K.: Però!
A.: Il secondo anno sono stato trasferito in una scuola normale, sempre pubblica, dove sono stato retrocesso in quarta, nella classe di terza e quarta. E ho iniziato a scrivere nel secondo o terzo trimestre del secondo anno scolastico, quindi nel 1967.

K.: Avevi 16 anni.
A.: Un pomeriggio, dopo aver visto una trasmissione televisiva per la gioventù, durante la quale si è data a alcuni ragazzi l’occasione di leggere una loro poesia, ho scommesso con me stesso di essere anch’io in grado di comporre poesie. Ho scritto il testo, primo in assoluto, in francese: parlava di me in una fuga su un cavallo bianco… Lo scritto andò probabilmente perso, fine che avranno fatto anche altri lavori.

K.: Se hai terminato in quinta il primo anno scolastico con la media del 5,1 in una scuola pubblica per ragazzi con difficoltà di apprendimento, immagino che ora, trattandosi di una scuola per bambini senza problemi, tu abbia avuto più difficoltà, nonostante abbia iniziato dalla quarta?
A.: Avrei dovuto cominciare il secondo anno con questa preoccupazione che, in realtà, non mi ha sfiorato nemmeno. Ho terminato l’anno con la media del 5,73. E dalla quarta elementare sono stato promosso in sesta, nella classe di quinta e sesta. Qui i voti sono cominciati a scemare: non sopportavo il fare violento del nuovo maestro; mai nei miei confronti, poiché non gliene davo motivo. Ho finito le elementari con la media del 5.

K.: Ciò vuol dire che hai cominciato le scuole medie.
A.: Alla scuola secondaria ho iniziato a odiare tutte le materie. Mi sentivo, anzi ero solo. Durante la ricreazione la corte sprizzava vitalità da ogni poro; vi si svolgevano giochi violenti o proibitivi per me. Ho terminato l’anno con la media del 4,34. Ed il primo trimestre della seconda media ho deciso di lasciare la scuola. Da gennaio a dicembre 1970 ho frequentato, in una scuola privata, corsi di dattilografia (media finale 5,25), di corrispondenza (4,75) e di ortografia (4). Nel frattempo ho seguito, per corrispondenza da Losanna, e concluso con successo un corso d’italiano durato circa nove mesi. Mi sono anche sottoposto a un esame nella sede milanese della Società Italiana degli Autori ed Editori (SIAE) e, il 9 ottobre, mi si è comunicato da Roma l’ammissione in qualità di autore della parte letteraria. Anni dopo ho fatto annullare l’iscrizione, poiché esulava dalla SIAE il compito di favorire i contatti tra gli iscritti: mi ero illuso di poter trovare, tramite la Società, un compositore con cui collaborare come paroliere… Avrei continuato a versare la quota annua invano.

K.: Chi ti ha iniziato alla letteratura?
A.: Francesco Mastriani. Avevo circa sette o otto anni. Non so se si possa parlare d’iniziazione; di certo non c’è stata consapevolezza da parte mia… Del suo romanzo «La sepolta viva», opera pubblicata per la prima volta nel 1889, dalla quale è stato tratto un film nel 1948, ho letto un breve riassunto che a Mineo, nel 1958-’59, veniva distribuito a tutti i fuochi: un opuscolo o un pieghevole a colori, con la fotografia di una donna molto bella che oggi paragonerei all’attrice Laura Antonelli da giovane. Posso dire che fu il mio primo incontro inconscio con la letteratura; ma, da allora fino all’adolescenza, non ho letto alcun’altra opera. In realtà, poi non ho mai letto molto e, in ogni caso, mai per ispirarmi o imparare a scrivere. Ad oggi avrò letto non più di dieci libri; e non tutti di letteratura. Ho letto «I promessi sposi» trascrivendolo a puntate, quando lavoravo presso La Buona Stampa, tipografia ticinese. E non sono riuscito a finirlo, perché sono stato… eletto a correttore di bozze.

K.: Presumo che tu non legga molto perché sottrarresti parecchio tempo a quella che è la tua passione: scrivere.
A.: Hai ragione. Già le mie difficoltà motorie esigono tanto tempo per fare altro, per cui me ne rimane poco per dedicarmi regolarmente alla scrittura.

K.: Dunque, nel 1967 hai iniziato a scrivere, componendo la tua prima poesia… Ora parliamo del tuo lavoro intitolato «Lucile-Jo» e che a me è piaciuto molto. E non mi pare tu abbia bisogno di leggere, neanche per trarre ispirazione. Così, non è facile trovare nella tua scrittura influenze altrui… L’ambientazione principale, luogo dove si svolge la scena che descrivi all’inizio, è molto intrigante; ma quanto influisce questo elemento?
A.: L’ambientazione principale era, in origine, il parco pubblico luganese. Quindi l’intero racconto si svolgeva in Svizzera, nel Canton Ticino, a Lugano, dove mi sono trasferito da Friburgo nel 1977. Il lettore che, anche soltanto da turista, è già stato nella non proprio piccola ridente città ticinese, non faticherà molto a riconoscerla. Avevo proposto il lavoro a una casa editrice locale. Non avendo ricevuto risposta, ho trasformato la cittadina lacuale in una città marittima non identificata. Di certo, per ripicca! L’ambientazione principale è, direi, la soglia che porterà all’intera storia: nonostante le varie ambientazioni successive, la storia inizia e finisce nella prima.

K.: Qual è stata la scintilla che ti ha spinto a scrivere questo libro?
A.: In genere, per quanto mi riguarda, l’ispirazione non ha molto a che fare con la realtà; questa vi si insinua non richiesta. La mia caratteristica è quella di scrivere senza sapere, dall’inizio alla fine, che storia stia raccontando. Scrivo lasciandomi trascinare da ciò che, da chissà dove, invade la mia mente. Invece, ho creato «Lucile-Jo» partendo da un fatto reale: il mio licenziamento nel 2004 — avevo 53 anni —, dopo quasi 30 anni di lavoro presso, come accennato, la tipografia La Buona Stampa, dove trascrivevo testi per bollettini parrocchiali, per libri vari, pubblicitari, articoli giornalistici; e dove, negli ultimi 20 anni, ho esercitato il mestiere di correttore di bozze sia per l’ex Giornale del Popolo, per il quale, come accennato, avevo cominciato a trascrivere, a puntate, «I promessi sposi» di Alessandro Manzoni, sia per altre testate e, ovvio, anche per altri lavori… In pratica quello che prima osavo correggere trascrivendolo, ora lo correggevo soltanto: il mio osare ha pagato! Detto di sfuggita, Manzoni era uno dei quattro autori cui ero paragonato, da giovane: Manzoni, appunto, Dante, Leopardi e Victor Hugo, dei quali allora, quando scrivevo difficile da risultare incomprensibile, cervellotico, nulla avevo letto, né li avevo sentiti nominare. Ma ora non è che li conosca meglio. Sono diventato difficile perché, prima, mi si considerava facile, infantile. Non trovando chi sapesse farmi capire cosa poi si intendesse con «incomprensibile, cervellotico», ho proseguito, per alcuni anni, per la nuova strada che ero stato spinto a imboccare: diventare adulto nello scrivere. E lo facevo divorando il vocabolario… Poi, un giorno, decisi da solo di diventare leggibile, senza però prostituirmi alla banalità.

K.: Chi non conosce la tua Riforma ortografica, leggendoti penserà che per 20 anni tu abbia corretto pochi errori…
A.: In realtà, è anche perché ho corretto tanti errori, sia rileggendo i miei scritti sia leggendo le bozze per lavoro, che nel 1989 ho colto l’ispirazione di riformare l’ortografia italiana, onorando l’affermazione teorica secondo cui «l’italiano si scrive come si pronuncia».

K.: Ci sono stati eventi particolari che ti hanno segnato e hanno lasciato dentro di te un’amarezza profonda, oltre alle ragioni del tuo handicap?
A.: Tutto si riconduce al mio handicap, senza il quale, forse, sarebbe andata diversamente. Ma l’amarezza profonda mi ha condizionato fino alla maggiore età, quando ho iniziato a capire e a accettare che, come si suole o si soleva dire: «Non si muove foglia che Dio non voglia»… Quando si è piccoli è difficile capire il motivo per il quale si viene maltrattati, derisi, presi a sassate soltanto perché si esibiscono difficoltà motorie, anche nel parlare. Mi consolavo dicendomi che i bambini, ma anche gli adulti, erano cattivi. Intanto, chi stava male ero io. Non è che oggi gli eufemismi proteggano davvero le persone variamente «extra-normali»… Per quanto possa parere anacronistico — forse poteva sembrarlo anche più di 30 anni fa —, è stato l’aver fatto mio il concetto di karma a riappacificarmi con me stesso e con gli altri. Però, a pensarci bene, ancora oggi tutti credono nel karma, anche solo dicendo: «Chi la fa, l’aspetti!» che, guarda caso, è un proverbio non orientale, ma italiano. Vogliamo fare i fighi atei, ma in fondo «la lingua batte dove il dente duole». 

K.: Il finale di Lucile-Jo è molto particolare. Senza svelare niente di più, vorrei che ci raccontassi che funzione hai voluto attribuirgli?
A.: La dedica recita: «A tutti i diversi, ovvero all’intero genere umano!». Vorrei che l’opera avesse la funzione di far prendere coscienza che non saranno il politicamente corretto e la legge sulla parità di trattamento a cambiare il mondo, anzi. Il mondo cambierà se la mentalità si aprirà o si riaprirà, ma non a suon di leggi, che ormai sono più numerose delle stelle, e di eufemismi, bensì attraverso esempi concreti di accoglienza delle varie diversità che colorano e arricchiscono il mondo. Gli adulti, cominciando dai genitori, devono — con i fatti, non con le parole, meno ancora mediante eufemismi — dare ai minorenni l’esempio dell’accoglienza che non discrimina. L’unica parola cui attribuire un nuovo senso, riferito agli esseri viventi, soprattutto umani, è «indifferenza»: le darei il significato di accettare reciprocamente, e in modo fattivo, l’insieme delle differenze.

K.: Quando una persona scrive solitamente aggiunge, anche involontariamente, alcuni elementi appartenenti al proprio subìto; nel tuo caso cosa possiamo trovare della tua vita in questo libro?
A.: Elementi personali finiscono sempre col cospargersi lungo ciò che si crea, forse soprattutto di letterario. In questo libro si trova molto di me, anche dal punto di vista del mio pensiero che a molti potrà risultare delirante…

K.: Ci sono state persone che ti hanno influenzato nella scelta dei personaggi?
A.: Me stesso, per quanto riguarda il personaggio del giovane handicappato. Invece gli altri personaggi sono frutto della mia fantasia.

K.: Grazie, Acreàstro!
A.: Grazie a te, Katia!

(Novembre 2023)

Troverete «Lucile-Jo» e altri lavori di Acreàstro Ennannellòro qui: shop/

Sito dell’intervista

Ascensore!

©25 luglio 2014 e-Editrice WenneW — LEGGE 22.4.1941, N. 633 PROTEZIONE DEL DIRITTO D’AUTORE – Testo consolidato al 7.3.2008: 1. 1) Sono protette ai sensi di questa legge le opere dell’ingegno di carattere creativo che appartengono alla letteratura, alla musica ecc., qualunque ne sia il modo o la forma di espressione. 1. 2) Sono altresì protetti i programmi per elaboratore come opere letterarie ai sensi della Convenzione di Berna sulla protezione delle opere letterarie ed artistiche ratificata e resa esecutiva con legge 20.6. 1978, n. 399, nonché le banche di dati che per la scelta o la disposizione del materiale costituiscono una creazione intellettuale dell’autore. 2. In particolare sono comprese nella protezione: le opere letterarie, drammatiche, scientifiche, didattiche, religiose, tanto se in forma scritta quanto se orale. Ecc.