Intervista a AE sulla Meditazione Trascendentale

L’e-Editrice WenneW (EW) intervista AE sulla Meditazione Trascendentale che salverebbe il mondo

Acreàstro Ennannellòro (AE), il nostro autore, scrive dal 1967 e pratica la Meditazione Trascendentale dal 1975.

Parte prima

EW: — Ma chi è AE fino al 1975?
AE: — Fino all’adolescenza ce l’ho con tutti: con la levatrice che tortura mia madre per tre giorni, affinché io esca; col medico che prima mi tira fuori col forcipe, detto comunemente «i ferri», credo, e poi perché, afferratomi per la gamba destra, me la offende. L’handicap che ne riporto consiste in difficoltà motorie, anche nel parlare. In seguito ne voglio ai miei genitori, soprattutto a mia madre perché mi protegge troppo. Ma riesco comunque a evitare la loro sorveglianza e vado a gettarmi nell’arena…, cioè fuori dove mi attendono la stupidità e la cattiveria dei bambini e anche di qualche adulto e l’indifferenza degli altri, brava gente, che non muovono un dito per difendermi. Cado sovente perché per fuggire devo correre. E io non so correre. Rincaso spesso con ferite alle mani o ai gomiti o alle ginocchia, a dipendenza di come cado… E i miei genitori che mi ripetono: «Te l’avevamo detto…». Ma non me ne frega. E non dura poco: va avanti fino all’età di nove anni.
EW: — Che cosa succede all’età di nove anni?
AE: — Quando ho nove anni, emigriamo in Svizzera dove scopro che i bambini handicappati sono benaccetti, quindi trattati bene, ma fino a quando non si sveglia in loro il divino Eros. Da allora in poi li si abbandonano a sé stessi, sebbene non li si maltrattino. Ma questo è il peggiore dei maltrattamenti, perché non si permette loro di crescere nei sentimenti. Pure qui me la prendo col mondo intero, senza capire che sto facendo male a me stesso.
EW: — In pratica cambia poco.
AE: — Già! Non è che crescendo veda veramente migliorare la mia condizione. Ciò che va determinando una svolta è una frase che mi dice un giorno un mio compagno di scuola, siciliano anche lui, guarda caso! Un giorno seduti fuori su un sedile a chiacchierare del più e del meno, a un certo punto mi dice, un po’ spaventato per quello che si potrebbe pensare di lui: «Ho l’impressione di esser rinato». Non lo dice in senso figurato. «E sono certo che tutti rinasciamo». Per me è come se avesse detto qualcosa che ho da anni sulla punta della lingua. Siamo ragazzi, appena adolescenti, io poco più grande di lui, in un periodo in cui non c’è tutta la possibilità che si ha oggi di informarsi su tutto e su niente. Inoltre siamo siciliani, quindi ancora arretrati…
EW: — E dopo quel giorno?
AE: — Nel corso degli anni successivi, riflettendo e leggendo anche qualche libro, due o tre, mi riapproprio del pensiero che da quel giorno sento mio, usurpatomi nel corso di chissà quante rinascite vissute in sistemi educativi, filosofici, culturali, religiosi, politici,… che, come il nostro, escludono la reincarnazione. Anche a un’imperatrice romana dà fastidio, perché non potrebbe sfuggire alle sue responsabilità («si raccoglie ciò che si semina», «chi di spada ferisce di spada perisce» ecc.), per cui costringe la chiesa a condannare la reincarnazione che viene insabbiata per un solo voto. E così, anche leggendo sulla reincarnazione e sul karma, capisco il perché del mio handicap: raccogliere il frutto di un mio seminato negativo. Il karma è la cosa più difficile da accettare, soprattutto quando si è convinti che lassù il Vegliardo michelangiolesco buono e rimbambito perdonerà tutto e tutti; o che egli non esista per cui, non essendoci il gatto, i topi possono ballare impunemente.
EW: — Ovvero saresti tu responsabile del tuo handicap? (AE ha sviluppato una bella allergia nei riguardi dei neologismi «disabile/disabilità», «diversamente abile/diversa abilità», «speciale»,… che egli considera invece spudorati eufemismi, perciò ugualmente offensivi: basta pronunciarli con un certo tono, e ecco che «disabile», «diversamente abile», «speciale» ecc. diventano un’offesa, proprio come «handicappato» che, pronunciato normalmente, significa soltanto «svantaggiato»).
AE: — Sì, del mio handicap e di quanto ne consegue nulla e nessun altro è colpevole. Soltanto il comprenderlo, cioè anche senz’averne alcuna prova, mi guarisce parecchio interiormente. Pian piano comincio a fare ciò che, perdendo tempo a accusare gli altri e le cose, non mi era dato di capire e di fare, ossia perdonare e amare me stesso. E così via via crescono il rispetto e l’amore per me, per gli altri e per le cose. So perché gli ignoranti (voce del verbo «ignorare») vivono ciò che vivono, si comportano come si comportano, o perché alcuni hanno tutto (almeno in apparenza), taluni poco e talaltri niente, o perché gli uni ricevono questo e gli altri quello, o perché gli uni sono sempre in compagnia, altri meno, mentre altri sono totalmente soli ecc…
EW: — Così la chiesa è costretta a rinnegare la reincarnazione?
AE: — Come accennato, a costringerla è un’imperatrice romana, forse la madre di Costantino. Sua divinità obbliga la chiesa a togliere alla reincarnazione il diritto di cittadinanza. Per Gesù e per i primi cristiani, a cominciare dai discepoli, è pacifica l’esistenza della reincarnazione. Un giorno gli domandano quando verrà il profeta Elia. Risponde che Elia è già venuto ma non l’hanno riconosciuto e ne hanno fatto quello che han voluto. Allora i discepoli capiscono che parla di Giovanni il Battista. Questo è un passo sfuggito all’insensata censura. E sono sicuro che altri passi importanti si sono salvati.
EW: — Qual è il tuo rapporto con la religione? Sei cattolico?
AE: — Sì, ma non per scelta, come tutti… Per rispondere devo tornare un po’ indietro nel tempo, alla mia infanzia. Con la religione ho fin da piccolo un rapporto particolare, soprattutto con Gesù. E questo rapporto cresce con me fino a guidarmi a cercare Dio, ma quello vero, che poi chiamo «Luce onniessente». Consciamente o meno, già da piccolo non credo che Dio o Gesù sia il mostro che dipingono per spaventare e far star buoni i bambini e i peccatori. Diventa una certezza sempre più consapevole man mano che divento grande, fino a farmi concepire il coraggio di cercare il vero Dio, appunto. Dal 1968 in poi questa è la moda o torna di moda la ricerca personale di Dio o d’altro. Fioriscono non soltanto gli hippy, ma anche le sette religiose, tutto un mondo in cui per molti è facile perdersi. Per me no, perché ai miei occhi né gli uni né le altre dimostrano di essersi messi in cammino verso la scoperta del vero Dio, anzi continuano a inabissarsi verso l’illusione, anche per mezzo di droghe che prospettano mill’e un paradiso infernale. No, io vado avanti col mio pensiero. Un giorno — abito a Friburgo (sempre in Svizzera) —, entro in una libreria e mi metto a dare un’occhiata ai libri, sperando di trovarne uno che risponda alla mia domanda: «Ma Chi o Cosa è Dio?». Non rammento esattamente quanto tempo trascorro là dentro. Quando sto per andarmene, la mia attenzione viene attratta da un libro intitolato «L’enseignement de Ma Ananda Moy» (L’insegnamento di Ma Ananda Moy). Vi dò una scorsa veloce e lo compro. Leggendolo apprendo che Ma Ananda Moy è la prima donna che in India sfida la casta dei Maestri maschi. È lei a rispondere alla mia domanda. La risposta la ricevo quando leggo: «Dio è questo e quello». Questo sta per la parte visibile e quello per la parte invisibile. Ovvero mi risponde che ogni ricerca è praticamente inutile, poiché il vero Dio — che avevo già cominciato a chiamare Luce, perché la parola dio significa luminoso, quindi «luce»— è questo e quello, e cioè tutto e tutti, ogni cosa e ognuno, ovvero, come poi lo definisco, «onniessente». E da allora chiamo il vero Dio Luce onniessente. Così la mia smania di sapere Chi o Cosa è il vero Dio svanisce. Ora resta da sapere come entrare in contatto non solo con questo, ma anche con quello, cioè con la parte invisibile di Luce onniessente, perché se non ci si familiarizza pure con quello, la conoscenza del vero Dio la si vive soltanto a metà.
EW: — Vuoi dire che ti rimane ancora qualcosa da cercare?
AE: — Sì! Ora devo cercare la «chiave» per familiarizzarmi, dunque, con la parte invisibile di Luce. Forse, continuando a leggere il libro, la trovo. Secondo Ma Ananda Moy la chiave consiste nel chiamare mentalmente Dio, ripetendo il nome che si preferisce, e prima o poi egli si manifesta. E così faccio per alcuni giorni. Ogni mattina, prima di andare al lavoro, mi reco in chiesa. Non v’è nessuno alle sei del mattino e il luogo è ancora buio o nella penombra. Mi genufletto sull’inginocchiatoio di un banco e, fissando la fiamma di una candela, chiamo mentalmente Dio, ripetendo semplicemente il nome «Dio». E dopo circa 10-15 minuti, me ne vado a lavorare. Nulla succede per un bel po’. Poi una mattina, svenendo, cado a terra tra due banchi. Mi riprendo incredulo, ma pure grato perché non mi sono fatto male, tuttavia anche spaventato perché avrei potuto farmene. E da quel giorno non medito più in chiesa prima di recarmi al lavoro, temendo che possa succedere di nuovo o che mi capiti magari qualcosa di ancora più incontrollabile. Ma non smetto di chiamare Dio in quel modo, facendolo però a letto. E una mattina — non capisco se sia sveglio o se stia sognando — mi appare una scritta luminosa che recita: «Attention à l’île qui vous intéresse!» (Attenzione all’isola che vi interessa!). Allora mi metto a pregare affinché nulla di grave vi avvenga, supponendo che si tratti della Sicilia. In quel periodo mio padre si trova a Mineo, terra natia di Luigi Capuana, nel Catanese. Qualche giorno dopo ci telefona e ci dice che un forte terremoto ha scosso il paese, ma nulla di grave. Così ho la conferma che ho supposto giusto. Sto per diventare un profeta… Infatti nella mia testa comincio a sentire i nomi di Romania e Turchia. All’inizio non capisco, poi sento che vi succederà qualcosa di proprio grave. E sto male, perché nessuno mi crederebbe. Pochi giorni dopo succede: in seguito a forti scosse telluriche, quei due paesi diventano teatro di molti danni materiali gravi e di numerosi morti. Visto dunque che nulla posso fare — proprio come tutti i profeti —, la smetto sia di chiamare mentalmente Dio sia di pregare. E capisco che la chiave suggerita da Ma Ananda Moy, oltre a non essere adatta a tutti, fa entrare in quelle che nel nuovo testamento Gesù chiama «le innumerevoli dimore del regno», dove è saggio non entrare se non si conosce la chiave che apre l’Ingresso principale.
EW: — Quindi?
AE: — Quindi devo trovare la chiave dell’entrata principale, cioè il come «tornare alla casa del padre» (v. la parabola del figlio prodigo). So già che l’interpretazione data dai cristiani al «ritorno del figlio prodigo alla casa paterna» è la morte. Suicidarmi o aspettare di morire per entrare nel regno di Dio? Nemmeno per scherzo! La parabola del figlio prodigo, probabilmente di origine orientale, è un racconto iperimmaginoso, perciò comprensibile soltanto da chi è capace di trascendere l’allegoria, la metafora, l’ermetismo o, come in questo caso, il linguaggio popolare, quindi una lingua ancora più alienante dal vero messaggio che si tenta di trasmettere in questo modo. Perché tradurre in immagini, cioè in codici, messaggi importanti o, addirittura, salvifici? O perché si pensa che la massa possa capire meglio o, al contrario, perché si vuole che nessuno capisca, soprattutto non chi possa distruggere gli scritti e gli autori. I famosi roghi non sono prerogativa del medioevo: il libro di Geremia, per esempio, viene dato alle fiamme. E il profeta lo riscrive. Pertanto dove trovare quella chiave? Boh! Ma l’importante è avere le idee chiare su chi o cosa si sta cercando. Per fortuna le ho già da bambino.
EW: — Forse cambiando religione…
AE: — Tutte le religioni, tutte le sette, anche cristiane, presentano lo stesso dio terrorista e dicono che devi sia cambiare religione e adorare quello che, se sei un tantino sveglio, scopri essere lo stesso dio, appunto; sia seguire quella che, sempre se sei un tantino sveglio, scopri essere la stessa religione o, non di rado, una peggiore di quella che ti impongono di lasciare. Sono autodidatta in materia di sapere. Ho perciò la fortuna di ragionare molto con la mia testa, prima di bere e assimilare quello che vado imparando. Gesù dice che il regno divino è dentro me. Perché allora andarlo a cercare altrove? Perché l’erba del vicino è sempre più verde. Non se trascendi il detto e ti fermi a guardarla bene. L’unica cosa che faccio mia immediatamente è la lucidità dei Testimoni di Geova nel dire che è innaturale portare al collo — aggiungerei esporre dappertutto — l’arma servita a uccidere Cristo. Non è difficile sbarazzarmi del crocifisso. Non strappo forse da bambino i santini pur di liberare Gesù? La notte faccio un sogno orribile: mi insegue il diavolo mentre scappo attraverso un campo di grano. Sogni del genere mi capitava di farne. Ma dopo quest’ultimo non ne faccio più.  Dunque, forte anche dell’unica parola magistrale di Gesù che recita: «Il regno di Dio è dentro voi», non la smetto più di cercare la chiave che mi permetterebbe di entrarvi.

Parte seconda

EW: — E la tua ricerca termina nel mese di ottobre 1975.
AE: — Sì! Nel pomeriggio del 9 ottobre 1975, mentre passeggio in città, vedo per la prima volta una locandina affissa alla vetrata di un ristorante. Ciò che si propone per me è assolutamente nuovo: una conferenza sulla Meditazione Trascendentale (MT) secondo l’Insegnamento di Maharishi Mahesh Yogi. Che cos’è la MT? E chi è il Maestro Maharishi? Boh! Ma è la montagna che viene a me. Per la prima volta mi sento sereno e sicuro davanti a un invito del genere. E, guarda caso, la conferenza si tiene la sera. Ossia si tratta di una pura coincidenza che io venga a passare davanti a quel ristorante proprio nel giorno in cui tra alcune ore si tiene la conferenza? Credo che nessun altro evento mi distoglierebbe dal parteciparvi.

Maharishi Mahesh Yogi, morto all’inizio di febbraio 2008.

EW: — Così la sera del 9 ottobre 1975 ti rechi alla conferenza.
AE: — Facendo ormai parte dell’ingranaggio orologiero svizzero, arrivo puntuale e, da lì a poco, mi si svela come rientrare nel regno divino che, secondo il Nazareno, si trova dentro ognuno di noi, pertanto anche dentro me, e nel quale nessun altro può entrare al posto mio. Mi si può dare la chiave — a trasmetterla dev’essere però un vero Maestro — e istruirmi nel come usarla, ma neppure un vero Maestro può entrarvi al posto mio, appunto, così come nessuno può mingere al posto di un altro. Semmai gli si può dare da bere, magari un’acqua diuretica. I veri Maestri, tra cui Gesù, sanno da millenni che nessuno può salvare realmente nessuno: ognuno deve… mingere da solo. Uso l’esempio della minzione perché, oltre a riferirsi a un atto fisiologico, quindi puramente naturale, colpisce di più e, perciò, accelera la comprensione, almeno spero. Ciò che manca, dopo il vero Peccato originale, è la conoscenza individuale di qual è la vera «acqua diuretica» (la chiave) che prima ciascuno beveva. Sono dunque alla ricerca di questa chiave, anche perché ho capito, già da un bel pezzo, che il vero Peccato originale non può essere l’erotico gesto della donna di porgere la mela a Adamo, dopo aver ceduto alla seduzione del serpente (questa è l’interpretazione comune, ossia universalmente approvata, del Peccato edenico). Il vero Peccato originale è la decisione sconsiderata di abbandonare il «rientro in sé» cui si allude nella parabola del figlio prodigo. Si tratta forse della «scienza» che gli ebrei, secondo il rimprovero di Gesù, hanno usurpato, nella quale non sono entrati e non hanno permesso a altri di entrare. Lo stesso rimprovero Gesù lo farebbe ai cristiani di ieri e di oggi, perché egli l’aveva riportata alla luce (nel rientro in sé o in tale scienza ravviserò la MT). Quella rovinosa risoluzione viene presa millenni e millenni or sono, se non milioni o miliardi di anni addietro, dai preadamiti (Caino sposa una preadamita incontrata nel paese in cui emigra. La gente vissuta prima di Adamo non è né un’eresia ebraica, come vorrebbero i cristiani, né quindi ancor meno una mia fantasia).
EW: — Dunque assisti alla conferenza sulla MT.
AE: — È la prima volta che partecipo a una conferenza. In quanti siamo? Come se a me interessasse saperlo! Rammento soltanto alcune spiegazioni scientifiche fornite con l’ausilio di grafici, atti a dimostrare i reali benefici derivanti dalla pratica regolare della MT. In ogni caso se ne ha personalmente conferma solo quando la si comincia a praticare, non prima. Quindi non mi interessa molto sapere, per esempio, che 20 minuti di MT corrispondono a otto ore di sonno profondo, o che diminuisce lo stress, o che non entra in conflitto né col proprio stile di vita, né con alcuna religione né, qualora si avesse bisogno di ricorrere ai medici, con alcun tipo di terapia (quando ci si ammala e si è costretti al letto o comunque al riposo, si medita più volte al giorno per accelerare la guarigione), né con altre discipline spirituali. Cioè la pratica della MT non apporta nella propria esistenza alcun genere di restrizione o di cambiamento ricercato. L’unica cosa che la MT richiede è che la si pratichi 20 minuti due volte al giorno, mattina e sera, con regolarità. Sì, la si deve praticare regolarmente perché i benefici sono cumulativi.
EW: — Ovvero quanto a te interessa è che la conferenza…
AE: — … finisca in fretta. Infine termina e la maggior parte degli astanti lascia la sala. Rimaniamo in pochi, anzi pochissimi: unicamente chi ha ben recepito il messaggio. Io sono un po’ imbarazzato, perché non ho la somma di denaro richiesta. In Svizzera il corso costa allora 300 franchi. Si paga solo il tempo che l’istruttore mette a disposizione. La MT in sé è inestimabile. Quando vanno via anche coloro che hanno preso appuntamento per il rito iniziatico, parlo con l’istruttore e gli faccio presente la mia situazione finanziaria, ma anche il mio forte desiderio di ricevere l’Iniziazione. Mi sorride: «Nessun problema! Mi dài solo quello che puoi. Ti aspetto domani pomeriggio».
EW: — Eh no, pagare no!
AE: — Chiedo scusa, ma chi urla che le cose spirituali non si pagano è un ipocrita, perché sa benissimo che, non da oggi ma da sempre, senza l’inodora pecunia non si soddisfano bisogni fisiologici e non si canta messa. Si paga non la propria evacuazione o la messa, ma chi presta il servizio. Negli anni 90 del 1900, in un numero del bollettino diocesano, il fu monsignor Eugenio Corecco, allora vescovo di Lugano (CH), scrive che Gesù si fa pagare. Lo rivela — almeno per me è una rivelazione — al fine di giustificare il diritto della chiesa di ricevere donazioni e di riscuotere anch’essa una tassa. Riflettendo bene, in particolare sul fatto sia che pure i discepoli vivono anche di pane non frutto di miracolo, sia che prima Matteo e poi Giuda tengono la borsa, non è difficile dedurre o, meglio, concludere che anche il Maestro Gesù si fa pagare per poter impartire l’Insegnamento e il Battesimo o, per essere esatti, l’Iniziazione al rientro in sé, vale a dire al «rientro nel regno di Dio che è in voi». Quindi il pagare un servizio reso nulla ha da spartire con la simonia, soprattutto quando il dovuto si esaurisce in un’unica quota né esagerata né tassativa. Infatti quanto richiesto per l’Iniziazione alla MT è una somma unica, accettabile (anche se col passare degli anni il prezzo aumenta) e non tassativa, nel senso che se qualcuno lo desidera veramente finisce per raggiungere il suo obiettivo, magari trovando la persona che lo sponsorizza. A me succederà, quando desidererò ma non potrò partecipare a corsi avanzati. Ne seguirò alcuni anche importanti, grazie a persone che me lo permetteranno. In questi casi la chiave è la sincerità. Non si dimentichi che una volta (forse ancora oggi?) l’iniziando doveva superare prove restrittive, anche pericolose, oltre alla fatica e al dolore. Per questo erano probabilmente pochi gli aspiranti. E, non di rado, alcuni Maestri pretendevano prestazioni sessuali o costringevano a animare sedute orgiastiche. Sicché è infinitamente preferibile pagare una volta per tutte e rimanere assolutamente liberi.
EW: — Vero!
AE: — Dunque, la sera del 9 ottobre 1975, dopo la conferenza sulla MT, facendo presente all’istruttore la mia situazione finanziaria, come pure il mio forte desiderio di essere iniziato, mi sento dire: «Nessun problema! Mi dài solo quello che puoi. Ti aspetto domani pomeriggio». Invece due giovani si sono visti rimandare l’appuntamento di tre settimane. Se si assumono droghe o si hanno problemi psichici gravi, prima di essere iniziati occorre disintossicarsi o guarire. Da qui si evince la serietà con cui Maharishi vuole che si impartisca l’Iniziazione alla MT secondo il suo Insegnamento. Arriva quindi il pomeriggio del 10 ottobre. Sono pronto. Ho comprato l’occorrente col quale l’istruttore esegue una cerimonia di ringraziamento ai Grandi Maestri che hanno custodito intatto, lungo i millenni, il modo di trasmettere la MT. L’iniziando occidentale vi assiste, senza esser tenuto a partecipare. Per lui è come recarsi a casa di qualcuno portandogli un omaggio. Dopo il rito di ringraziamento, l’istruttore mi sussurra all’orecchio il mantra che egli sceglie per me, basandosi su alcune mie risposte alle sue domande. In un certo senso si riceve un mantra personalizzato. I mantra adatti alla pratica della MT, accuratamente sperimentati e quindi selezionati da Grandi Maestri nel corso dei millenni trascorsi, sono un certo numero (12 o poco più),  equivalente al numero delle categorie di persone. Dunque il mantra che l’iniziando riceve corrisponde alla categoria alla quale egli appartiene. La voce mantra significa creazione mentale, perciò pensiero, parola, quindi suono. Il significato letterale del mantra che si riceve secondo l’Insegnamento di Maharishi Mahesh Yogi — che molto più in là scoprirò esser stato il Guru anche dei Beatles — non viene svelato a noi occidentali perché, essendo abituati alla meditazione intesa soprattutto come riflessione o speculazione su…, intralcerebbe il corretto funzionamento della MT, per cui non sortirebbe alcun beneficio. Allora, per gli occidentali iniziati alla MT, il mantra rimane un suono, ma un suono dagli effetti benefici. Dunque, dopo il rito di ringraziamento e avendo io risposto a specifiche domande, l’istruttore mi si avvicina all’orecchio e mi trasmette il mantra. E qui finisce l’Iniziazione. Nulla che somigli minimamente a ciò che si è abituati a intendere con iniziazione nel senso tradizionale di prova o prove da superare, oppure di cerimonie occulte, magari a sfondo sessuale o satanico. L’Iniziazione vera e propria alla MT si riassume banalmente nella trasmissione del mantra all’iniziando. E si diventa banalmente «iniziandi» dal momento in cui si decide di farsi iniziare. Dopo o prima — non rammento bene, ma non ha importanza — aver ricevuto il mantra, viene detto come usarlo. Dopo averlo ricevuto, si medita; cioè si pratica per la prima volta la MT. Anche qua non v’è alcuna stranezza: ci si siede comodamente, si chiudono gli occhi e si medita per 20 minuti, seguendo bene le istruzioni ricevute. Si dirà: «Troppo facile!». Sì, anzi talmente facile che può praticarla un bambino di tre anni, con l’unica differenza che egli non chiude gli occhi e medita giocando. Questo fino al compimento del 12° anno di età. La sola cosa che rimpiango, immediatamente dopo la prima seduta, è di non aver conosciuto la MT all’età di tre anni. Ciò che vivo durante questi primi 20 minuti di meditazione non è importante, perché ognuno vive le sue esperienze. Quello che conta e va raccontato sono i risultati benefici che si manifestano fin da subito.
EW: — Eccoti dunque iniziato alla MT nel pomeriggio del 10 ottobre 1975. Quanti anni hai?
AE: — Ho circa 24 anni. Nonostante coltivi pensieri poco o per nulla comuni, non riesco a vivere la libertà mentale, psichica o spirituale che dovrebbero darmi. C’entra forse anche il fatto di credere di essere solo a frequentare questi pensieri, quindi il non essere proprio sicuro di pensare giusto. Da qui la paura di star peccando, sensi di colpa e assurdità varie sono andati costituendo un macigno che mi grava sulle spalle da molti anni. Immagino che macigni del genere e ben altri pesino sulle spalle di chiunque, maggiormente quando si è ancora giovani. Ciò per introdurre la mia terza nascita. La seconda è avvenuta col battesimo, stando alla religione cristiana che invero Cristo non istituisce. Aprendo gli occhi dopo i primi 20 minuti di MT, mi sento pervaso da una leggerezza psicofisica mai provata prima. Quel macigno si è disintegrato — e oggi affermo: definitivamente! —. Per strada cammino per la prima volta come non ho mai camminato, e cioè straordinariamente sicuro di me. Col passare dei giorni vado accorgendomi di non accusare più crampi alle gambe e al petto, quindi di camminare a lungo e di giungere alla meta fresco come una rosa, come si suol dire. Non perdo l’occasione di partecipare a una specie di pellegrinaggio di 17 km a piedi. Arrivati a destinazione, tutti accusano una certa stanchezza; io no. Pochi mesi dopo, sparisce la paura quasi isterica che avevo delle api e da solo inizio a radermi e a tagliarmi le unghie delle mani e dei piedi, ciò che continuo a fare. In pratica, per una certa parte il mio handicap regredisce. Sono certo che se avessi cominciato a praticare la MT all’età di tre anni, a quest’ora sarei totalmente guarito — perché la MT si prende cura di risolvere anche il karma delle vite precedenti, senza doverlo riportare alla memoria inutilmente e con ulteriore trauma —. Ma progressi, seppur piccoli, ne farò di sicuro ancora.
EW: — Circa i tuoi pensieri?
AE: — Non sono cambiati, al contrario!, e stavolta godo la libertà che generano.
EW: — Hai detto che a dare il mantra dev’essere un vero Maestro…
AE: — … o un istruttore formato secondo l’Insegnamento di un vero Maestro. Perché non autoiniziarsi con l’ausilio di un libro? O perché, per quanto riguarda anche la MT, non farsi dare l’Iniziazione da una persona che medita? Semplicemente perché — lo dice anche Gesù — innumerevoli sono le dimore del regno divino che è dentro noi, nelle quali si rischia anche la vita entrando con la chiave sbagliata o, comunque, non consona alla propria personalità; chiave che, in ogni caso, non è quella dell’Ingresso principale. È come commettere un’infrazione se, prima di penetrare in una proprietà privata, non si chiede il permesso di entrare. E spesso le conseguenze di una tale infrazione nel regno divino in noi non sono anodine: si può finire vittime delle proprie forze maligne che inducono a commettere atti di straordinaria violenza sia contro sé stessi, sia contro gli altri, oppure conducono alla pazzia o direttamente al suicidio, a dipendenza anche dell’assunzione di droghe o di malattie mentali precedenti da cui non si è ancora usciti. Ecco perché alla MT non vengono iniziate persone che non sono «pure» in tal senso.
EW: — Pratichi anche altre tecniche spirituali o mentali?
AE: — Sì, giacché la pratica della MT non preclude l’accesso a alcuna tecnica simile, né a altro del resto. L’importante è considerare e vivere la MT come se fosse la base di tutto, della quale non è saggio fare a meno, perché è il Respiro. Se si respira male, la vita diventa un inferno con tutte le conseguenze del caso. Sì, nel 1993 mi sono fatto iniziare al Reiki, al I e al II livello e, nel 2003, al III. Pure qui vale lo stesso discorso sulla pericolosità del fai-da-te. E anche qui i benefici sono sorprendenti, quindi in un certo senso MT e Reiki si sposano felicemente. Nel trattamento a contatto o a distanza il Reiki, l’Energia pura universale, viene dato attraverso le mani, dopo aver ricevuto, da un vero Maestro, la rispettiva Iniziazione. Da allora in poi si è abilitati a trattare sia sé stessi, sia chiunque si dichiari d’accordo di essere trattato. In casi eccezionali in cui la persona non si trova nella condizione di poter dare il suo consenso, il reikiterapista è autorizzato a trattarla a contatto o a distanza, soprattutto se si tratta di qualcuno che conosce o di una persona amica. Altresì il corso per diventare reikiterapista è a pagamento, quota unica. Un esempio di efficacia del trattamento reikico: colpito, alcuni anni fa, da una paralisi virale alla parte sinistra del viso, sarei rimasto offeso, secondo il medico, anche se avessi assunto il cortisone. Così rifiuto ogni cura, tanto… Dopo due o tre settimane di autotrattamento reikico la mia faccia guarisce completamente e il medico non può fare altro che constatarlo, esclamando: «Ha fatto un progresso della Madonna!». Quando poi gli dico che mi sono trattato col Reiki, mi sorride: «Meglio passare il tempo a trattarsi col Reiki, che non a fumare, a bere o a drogar-si!». Durante tal periodo medito regolarmente due volte al giorno, mentre mi  tratto spesso col Reiki, come per metterlo alla prova. Sono certo che sarei guarito meditando più volte al giorno.
EW: — Vuoi aggiungere altro?
AE: — Sì, grazie!  Ho dato soltanto 50 franchi e l’istruttore non vuole il resto. Sono io che, qual gesto di sincera e profonda gratitudine verso il vero Dio, cioè Luce, desidero dare i restanti 250 franchi, che sono riuscito a mettere da parte fin da subito dopo l’Iniziazione. Così, tre mesi più tardi, gli porto il resto dei soldi. Quello che succede, praticando la Meditazione Trascendentale con regolarità 20 minuti due volte al giorno, mattino e sera, non è l’esaudirsi di preghiere e cose simili, poiché non si prega, non si supplica, non si fanno sacrifici propiziatori. L’unico sacrificio salvifico è quello di dedicare 20 minuti due volte al giorno, vita natural durante, alla pratica della MT, una tecnica semplicissima, ma incontestabilmente efficace, e tutto ciò di cui si ha un bisogno effettivo ne scaturisce spontaneamente. Trovo che sia peccato e triste che per capirlo occorre essere handicappati.

Impossibile non concordare! Anche perché la Meditazione Trascendentale praticata in gruppo cambierebbe letteralmente ogni cosa negativa, squilibrata. Chi ha qualche conoscenza di fisica quantistica comprende quando si afferma che il semplice atto di meditare produce effetti quantistici che influenzano l’ambiente e persino l’intera popolazione mondiale. «Le differenze creano il mondo — dice Maharishi —. Non è possibile eliminarle, ma portando la consapevolezza (individuale) a quel livello (di trascendenza) che è la base di tutta la diversità e che è presente dovunque allo stesso modo, portando (dunque) la consapevolezza a quel livello fondamentale della vita, è possibile riconciliare tutte le situazioni estreme che esistono nella vita. Non c’è altro modo. (…) Non combattere l’oscurità, porta la luce e l’oscurità scomparirà». Come direbbe AE: «Basta un individuo per rovinare il mondo (figlio prodigo, capi, dittatori,…), ma occorre l’1 % della popolazione mondiale per salvarlo: l’1 % che pratichi la MT regolarmente».

Maharishi Mahesh Yogi 

Maharishi Mahesh Yogi, o soltanto Maharishi (nome o, meglio, titolo che significa «Grande veggente», attribuitogli dai media, a quanto pare) è stato il Guru (Maestro spirituale) anche dei Beatles.
Egli studiò le scienze occidentali e, dopo gli studi, il giovane scienziato in fisica trascorse 13 anni col Guru Swami Brahmananda Saraswati, Shankaracharya di Jyotir Math dell’Himalaya, uno dei più importati Maestri vedici del suo tempo. In questi 13 anni Maharishi imparò che la meditazione non era proprio ciò che fino allora si pensava. Si pensava — e di certo c’è ancora chi lo pensa — che, affinché la mente raggiungesse il silenzio interiore, occorresse meditare con sforzo, costringendo la mente all’inattività, in genere concentrandosi su qualcosa, come una parola, un suono, o fissando un punto, oppure mediante tecniche di visualizzazione.
In questo modo la mente finisce presto con l’annoiarsi e col pensare a altro, ciò che è normale perché è la sua natura. Maharishi paragonava la mente a una scimmia che non sta mai ferma. A un dato momento la mente, costretta a rimanere concentrata, si stancherà per lo sforzo e cadrà in uno stato di abbandono. Allora si riuscirà forse a vivere un’esperienza «superiore», in genere poco chiara, per quanto profonda, poiché la mente non sarà più in grado di «realizzare», trovandosi in uno stato di quasi sonno per la stanchezza. Meditare in questo modo costa molto tempo, un enorme sforzo e parecchia disciplina. Ciò che solo i monaci possono fare, avendo lunghi ritagli di tempo da dedicare alla tortura della «scimmia». Inoltre, nella vita di tutti i giorni, questo tipo di meditazione era di poca utilità. Per ottenere qualche risultato benefico, positivo, utile bisognava meditare così per mesi, anni.
Invece, durante la Meditazione Trascendentale (MT) — 20 minuti due volte al giorno, mattina e sera —, praticata regolarmente secondo l’Insegnamento di Maharishi, la «scimmia» è lasciata libera. E gli effetti benefici, pratici e utili li si godono fin da subito.  

22 novembre 2015 

Aggiornamento — Le esperienze mistiche e altri fenomeni simili fine a sé stessi sono inutili e, oltre che confusionari, anche pericolosi per la salute mentale e, di conseguenza, pure fisica. Se per capirlo bisognava che fossi handicappato, ringrazierei la mia condizione di persona fisicamente anormale. Ma sarebbe proprio triste se, per capire talune cose, occorresse davvero ritrovarsi in una situazione svantaggiata. Significherebbe che, in realtà, la vera condizione di svantaggio è la normalità. Ciò premesso, vado a rendervi partecipi di un mio ulteriore progresso ortopedico verificatosi di recente in modo spontaneo, nel senso di non ricercato. Mercoledì sera, 19 aprile 2017, per la seduta serale di MT, mi siedo sul divano, la schiena insolitamente dritta e distante dallo schienale, rimanendo così per poco più di 20 minuti, senz’accusare alcuna fatica. E, appena chiusi gli occhi, «vedo» dall’inizio alla fine un flusso di luce colorata e sento una calma stra-ordinaria. Medesima esperienza giovedì sera… Poi, a tavola, mi siedo spontaneamente allo stesso modo, di rimando con la testa alta. E, il gomito destro sul tavolo, la mano si alza fino a portare alla bocca la forchettata. Per bere? Entrambi i gomiti sul tavolo, le mani sollevano il bicchiere fino alla bocca. Schiena dritta anche per lavarmi i denti. E, seduto davanti al computer, abbasso quasi soltanto gli occhi sulla tastiera, usando l’indice sinistro e il medio destro per scrivere. Prima battevo prevalentemente con tal ultimo dito, dorso e capo chini. Ve-nerdì, sabato e domenica, idem. Cioè il fenomeno dura da oltre 3 giorni. Allora si tratta non di una cosuccia passeggera, ma di un ulteriore progresso motorio dovuto alla pratica regolare della MT e, di certo, anche al regolare autotrattamento a contatto con il Reiki. Qualche settimana dopo mi sono misurato: ero cresciuto di 2-3 centimetri. L’impressione è che da questo cambiamento di postura sortiranno altri miglioramenti…

Ascensore!

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